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Le nostre News
20/4/2010
GIOVAN BATTISTA POLLIDORI Vita Di San Leone Confessore, monaco e sacerdote Dagli antichi messali e dai codici della Chiesa Larinese Il Beato San Leo, Confessore di Cristo, nacque da nobile e feconda stirpe, ma più nobile fu per le virtù presso Dio, grazie alle quali, aiutato dalla grazia celeste, essendo il secolo incominciare a splendere, ispirato dal Signore, fu fatto monaco di San Benedetto nel Monastero di San Felice, il quale era posto non lontano dal confine cliterniano. Qui Leone, vivendo santamente, e formato nel sacerdozio, fece tante cosa e nel fare cose virtuose, con la sua assidua predicazione del Vangelo, il Dio Onnipotente illuminò anche di miracoloso il suo fervore. Ed infine, con pieno merito e in età matura ritornò al Signore. E poiché, non molto tempo dopo, per gravi eventi e i molti danni delle continue guerre, fu abbandonato dai monaci; e per la frequente successione di terremoti, essendo caduta in rovina la stessa chiesa, dove giaceva il corpo sotto l’altare di quella stessa, Roberto Conte di Loritello per caso, cacciando, trovò il sacro tumulo. Ed estratto da lì il corpo fu trasportato con venerazione e solennità nella Chiesa di Santa Maria in Pensilis, costruita nel fortilizio di San Martino. In quella, per le preghiere e per i meriti dello stesso Beato Leone, confessore misericordioso, il Signore fu largamente generoso di continui benefici per i fedeli supplicanti. Per cui lode, onore e gloria, nei secoli dei secoli. Amen A riguardo di San Leone Confessore In un Codice di pergamena, una volta in Santa Maria di Pensuli, ora nella Chiesa Collegiata di San Pietro Apostolo del Castello di San Martino della Diocesi di Larino del secolo tredicesimo di Cristo. Nel giorno 2 di Maggio Nella Festività di San Leone Confessore, è obbligo fare un’Orazione propria del Santo In una altro Codice di pergamena, pressappoco della stessa epoca, e conservato nella stessa Chiesa, il cui Titolo è: Antifone per la Commemorazione dei Santi per l’intero anno. Dedicato a San Leone Confessore: Preghiera per i vespri: qui si rigettano i piaceri terreni cercando eterna gloria nell’amore del Creatore. Alle lodi: Ad elevare il buon Servo Al tempo di Pasquale Alleluia! PREGHIERA O Signore, che per i molti miracoli elevasti alla Gloria il Beato Leone, Sacerdote e Confessore, concedi benigno, affinchè abbiamo quello che in terra invochiamo grazie alla preghiere. Per Cristo Nostro Signore. Anche altre cose si traggono per mezzo di un antico libro di preghiere, scritto e divulgato nel quattordicesimo secolo di Cristo, che veniva usato in quello stesso tempo nella Chiesa Larinese: COMMENTARIO DELLA VITA E DELLE OPERE DI SAN LEONE SACERDOTE E CONFESSORE I. Affinchè gli atti, la nascita, la vita, la santità, l’antico culto e la traslazione di San Leone Sacerdote e Confessore. E affinchè qui vengano esposte la vita e le opere del santo dai Codici Messali della Chiesa della Cittadella di San Martino, dove il suo corpo riposa, e da quando l’Episcopato Larinate ha deciso che, da quando fra il dodicesimo o certamente all’inizio del tredicesimo secolo, ne furono recuperate le spoglie, ha stabilito che nelle messe diurne dei Chierici, ricordare la ricorrenza del Santo Confessore. Una biografia breve, scritta a penna, raccolse con minor fortuna la memoria dell’uomo, né tante cose invero sono state tratte dall’oscurità. Ma, tuttavia, per il suo splendore e nei fatti narrati da tanti uomini, e raccontate con meraviglia dagli stessi, le cose antiche furono rese celebri da cotanti testimoni. II. La tradizione larinate constata, dalle opere e dai fatti lascate alla posterità, che San Leone, sacerdote e Confessore, risplendesse al passaggio dell’undicesimo secolo; e sembra che in cielo migrasse un po’ prima dell’avvento dei Normanni nelle Puglie. Ne altro genere di cose riteniamo ci fossero che avessero potuto nuocere e dare gravi danni e fastidi al Cenobio di San Felice durante la sua vita. Vengono alla luce se non quelle che ricordano dei Normanni stessi contro i Greci, contro i Longobardi nelle Puglie e contro i Frentani, Lupo Protopata nel Cronicon, Gofredo Malaterra, Guglielmo Pugliese ed altri storici pubblicati da Cl. Muratorio nella Collezione degli Scritti delle cose italiche. III. E’ possibile, d’altra parte, riportare sulle virtù e i meriti di San Leone poche cose dagli autori e né si possono trovare testimoni. Ciò che è comunemente noto a tutti di Lui è la sua straordinaria santità e il culto religioso si manifestò non molto tempo dopo la sua morte. Infatti la sua gente lo annovera fra i Santi e la cosa in quei tempi è comprovata nel merito dal fatto che i corpi dei Servi di Dio, o per volere dei Sommi Pontefici o del Vescovo, dal semplice sepolcro si usa trasferire sotto l’altare sacro nella Chiesa Pubblica ed esporre alla venerazione dei fedeli: come è stato fatto per San Pietro Damiano, Cardinale di nostra Romanan Chiesa , per il Vescovo di Ostia l’abate Romualdo, o per San Leone X Papa. Ciò è ricordato nella Bolla di Canonizzazione di San Gerardo Vescovo Tulliense, da Mibillonio nelle Vite dei Santi nei secoli dell’Odine di San Bendetto, pag 898. Nelle antiche opere (Corbeje ?) che sul Beato Abate Pasquale, da Ugone Medardo Sulle vite dei Santi del mese di Aprile, raccolte nell Libro ballantiano pag. 464. Su quest’uso in seguito dicono negli Annali ecclesiastici, nella dissertazione edita dopo gli Atti dei Santi di Pietro e Megolalo, pag. 346. Gli amici Ballantiani nel Volume 2 dei Santi del mese di Luglio sui SS Godeleia, Ranulfo, Gutrogono e altri. Soprattutto sui miracoli, arricchiti di testimonianze, attribuiti al merito delle virtù di San Leo è illustrato dal Deo che fa propriamente vedere come le Preghiere che vengono recitate a memoria nella ricorrenza del sesto giorno (del mese) tutte le volte è voluta dal Clero e dai fedeli cristiani nelle messe della Diocesi di Larino. IV. Una tavola antica, che dipinta ora si può vedere nella Collegiata sorta nella Cittadella di San Martino, anche tante altre cose fa vedere, della sua santità, i miracoli e il culto religioso manifesto. Da questa parte della vecchia Chiesa di santa Maria in Pensuli è stata trasportata col Sacro Corpo, e da nessuno, tanto dagli abitanti, quanto dai forestieri, viene considerata come cosa preziosa. Essa, dallo stile antico di pitturare, dall’uso del colore, dal modo di rappresentare dalle vesti dei personaggi si considera quest’opera del XIII secolo. Essa ha tre parti. La parte centrale è occupata dall’immagine di San Leone ornata di vesti sacerdotali, di età matura, ma non rappresentato vecchio; il capo è ornato da una corona clericale com’era nei costumi del suo tempo e con molti capelli scuri sulla fonte e tutt’intorno. Con la mano destra benedice il popolo; con la mano sinistra tiene il libro del Vangelo. E da ambedue i lati ci sono otto riquadri, quattro per ogni parte, dove sono illustrati altrettanti episodi della sua Storia. Nel Primo riquadro della parte destra si rappresenta San Leone officiante un sacrifico divino sull’altare. Un chierico affonda un animale con pelliccia con le mani in un vaso che è proteso da un contadino sperante verso l’altare, affinchè possa prendere da quello il rimedio del male che lo affligge. Nel secondo riquadro San Leo in abiti sacerdotali libera sull’altare un posseduto e vessato dal demonio. Nel terzo riquadro lo stesso Santo Confessore annunzia dal pulpito il Vangelo di Gesù Cristo. Nel Quarto, nei pressi della distrutta città di Cliternia e del Monastero e della Chiesa, fra i cespugli sono nascoste le reliquie; un cavallo con sella e finimenti., con i quali è legato al tumulo sconosciuto di San Leone, esso per caso tira in modo da muoverne l’apertura. Verso quell’improvviso e straordinario spettacolo un Signore genuflesso guarda orante nella preghiera. Nel quinto si vede un uomo probabilmente pellegrino, o un navigante, con una bisaccia piena, fra i mari, oppure tra i rami di un lago pieno di pesci. In lontananza appare una città. E forse sta ad indicare un voto ottenuto per opera di San Leo al quale si era rivolto. Nel sesto è rappresentata la traslazione del Corpo dello stesso Santo Confessore, giacchè vi è un carro trainato da due buoi, e sopra il carro vi è un’urna piramidale che contiene certamente le sacre reliquie. Si riconosce il Clero che prega vestito di bianco. I contadini lo seguono tenendo un bastone in mano. Nel settimo si vede un Chierico che sta sotto una campana di una Chiesa che accidentalmente è caduta da un campanile e, nello stesso momento che da quella è oppresso, per opera di San Leo è salvato. Nell’ottavo infine, rappresentato in una effige sull’altare principale, per le sue meravigliose virtù e per merito della specchiata santità, dalle persone riunite in religiosa venerazione è onorato. V. Cliternia, antica città, confinante con Larino ricordano in quel tempo Mela nel libro 2, sulla localizzazione della città cap.4, ed anche Plinio nelle Storie, sui nativi nel libro 3, cap. XI.. Non conosco nessuno altro che in qualche scritto cita essa. Nella Repubblica dei Cliterniani, ricordata con dignità simile a quella di una città romana, con Consoli e Senatori e non meno rettamente i Magistrati reggono il popolo con ampi poteri, e prevalentemente decretano: non volgono l’attenzione che alla cosa pubblica e di nessuno di quel luogo che fosse antico, ne per dignità né per presenza, ma della comunità fosse nell’elenco dei nomi; qui tutti erano uguali ed ogni cosa pubblicamente si manifestava, e le cose che si ritenevano pubbliche si discutevano insieme. VI. Dalle rovine dell’antica città distrutta dopo la caduta dell’Impero Romano a causa delle genti barbare, le quali non risparmiarono l’Italia da alcuna specie di male., che da quello per pena, ma assai dispari per magnificenza e condizione fu. Da questo momento non conosciamo alcuna causa del perché nell’Itinerario di Antonino Cliternia fu estromessa; nella tavola Tedofiana e nella tavola dell’Anonimo di Ravenna non è ricordata Una nuova città nel medesimo sito in epoca posteriore, principalmente nelle carte antiche del Monastero Termitano, durante la dominazione Normanna, nell’Episcopato di Larino e nella città i Termoli, non solo non è chiamato Cliternia, ma nessun altro luogo ha il nome cliterniense in quei pressi. Da allora fu fatta un’alterazione delle parole e volgarmente fu chiamato Liricchiano o Licchiano. VII. Si legge che una grande e frequente serie di terremoti, i quali causarono ripetutamente rovine e danni al Monastero e alla Chiesa di San Felice, chiaramente chi scrive indica che in quel tempo, testimone di tante calamità e teste autorevole è Falco Beneventano nel Cronicon, nell’anno del Signore 1125: qui vi è la pagina 234 dell’Edizione curata dall’eruditissimo Antonio Caracciolo. “In quell’anno, nell’undicesima notte del mese di ottobre pervenne un fatto nuovo e paurosamente straordinario a Benevento, e che poi si sentì, anche nei paesi, nelle città e castelli vicini a Benevento. Poiché in quella notte a tutti mancava il sonno, il terremoto avvenuto all’improvviso fu di inaudita forza, perciò fummo tutti atterriti perché ci aspettavano la morte. Il terremoto, invero, fu così terribile che torri, palazzi e tutti gli edifici furono fortemente scossi. Anche i terreni, da tanta forza di così spaventevole terremoto furono spaccati in due parti: anche le mura delle città insieme alle case cadenti rovinarono a terra…Nel terzo( giorno), poiché si erano tutti portati fuori, il terremoto non uccise nella notte; nel quarto (giorno), il giorno dopo, all’incirca a mezzogiorno ecco che arriva un altro terremoto. Quello, se il lettore non è consumato dalla paura, tutti gli edifici della città fece tremare; tutto si vedeva scuotere e da tutti si potevano vedere cose inaudite che in nessun tempo mai erano avvenute, o che da nessuno potevano essere ricordate, così talmente forte ed evidente si manifestò. Durante la notte successiva una volta sola avvenne una scossa che teniamo i conto nella memoria; durante tutto il giorno e nella notte seguente, ed anche per oltre altri quindici giorni il terremoto perdurò.” Falcione fra gli avvenimenti e tutte quelle cose che descrisse, ed anche dei particolari dei monumenti e delle città, fece menzione delle opere e costruzioni Frentani e dei Sanniti; così veniamo a conoscere dei danni gravissimi e largamente diffusi del larinate che furono certamente non minori. VIII. Ciò che a Roberto spetta è che da lui, con pia cura fu fatta la traslazione di San Leo; ma durante lo stesso tempo due Conti di Loritello vengono in mente con lo stesso nome, ai quali poter attribuire la stessa (traslazione). Nella Cronaca del Monastero Beneventano di Santa Sofia, divulgata da Ughello nel Volume 6 della prima edizione dell’Italia sacra, pag. 739, si trova un Diploma di cui riportiamo l’inizio: “Nel nome di Dio Salvatore nostro Gesù Cristo, mese di Ottobre del 1115” Indicazione VIII. Io Roberto, per grazia del Signore Onnipotente Gesù Cristo, Conte di Loritello, figlio di Roberto Conte che lasciò buona memoria.” Dello stesso Roberto si ha menzione nel Diploma a favore del Monastero di Santa Maria con data giorno trenta del mese di aprile, nell’anno dell’incarnazione del Signore 1136. Indicazione 14. Questo stesso è custodito presso la Canonica Lateranennse. Fu uomo di religione e noto per la pia beneficenza, quel nome allora fu legato anche ad altri luoghi sacri, infatti anche del Cenobio cassinense fu benefattore, perché si trova nella carta della Concessione al vestiario dei monaci e gli onori fatti a Gerardo Abate nell’anno del Signore 1115, dal libro IV, capitolo 48 delle Cronache cassinensi. Allo stesso Roberto fu affidato a vita il Contado di Loritello, a reggere con pieno potere: a meno che almeno da altro luogo, si crede ritorni il nome. Scrive infatti. Il monaco Alessandro a Celestino III, Pontefice Massimo della stessa epoca, nella Cronaca del Monastero di San Bartolomeo di Carpineto nel Contado Pennese 5. Col. 1271 citato nei volumi di Ughello, che Ruggero Re delle due Sicilie.. parla di lui. “Lì dunque lasciò detto al successore, a suo figlio dal nome di Guglielmo, raccomandandosi a lui affinchè facesse conto di Loritello Roberto di bassavilla, figlio favorito di sua sorella. Quello alla morte del padre adempì al mandato.” Ruggero, nello stesso anno quindicesimo di quel secolo, venne a morte nelle calende di marzo, come riferisce un Autore anonimo cassinense, nello stesso anno, pag.140 delle Edizioni di Caracciolo. Di questo Roberto nello stesso momento molte cose simili dicono Alessandro, il monaco Giovanni Berardo ed è citato dall’Anonimo cassinese nell’anno del Signore 1155 e seguenti e similmente Fazello nelle “Cose Siciliane”. Antonio Caracciolo, uomo eruditissimo nel Nomenclatore dei nomi propri, che sono ricordate nelle Cronache edite da egli stesso, come quel Roberto fosse censito, e il di lui nome è ricordato nel Registro delle Epistole di San Gregorio Papa VII, libro 2, epistola 52. Ma Gregorio VII non avrebbe potuto ricordare proprio quel Roberto Conte di Loritello che questi quasi un secolo dopo era in vita e in fama lo studioso di inedite cose nel Regno di Guglielmo deve rivolgere l’attenzione. A quale sia possibile attribuire dei due Roberti la traslazione del corpo di San Leo è cosa ardua, perché è ignoto l’anno in cui quei fatti accaddero. IX. Per questo invero, quale definizione si possa fare di quale di Loritello Conte dei Conti fosse chiamato, poiché avevano molti dei Conti di Ordine inferiore, o Baroni, che possedevano feudi entro confini della Contea di Loritello. Certamente nel Registro feudale dei baroni del Regno di Sicilia, al di qua della Fara, che fu fatto durante il regno di Guglielmo II , recensito da Cl. V. Borello, in Appendice agli Indici della Nobiltà Napoletana, fra le righe dell’antica opera riferite, a pag. 37, sotto il titolo “Della Contea di Loritello”, sono menzionati diciannove Baroni che i quello possedevano altrettanti feudi. Indi la Contea di Loritello, per importanza ed estensione, è lecito anche affermare, che ebbe grande importanza nelle guerre e nella forza e nelle funzioni ricoperte nel Regno Napoletano, quale ruolo spettasse ai Baroni, e non ultimo posto fra quelli della Contea di Loritello. Falcone Beneventano, nella Cronaca di Pasquale II, Pontefice Massimo, riporta a pag. 190, che nell’anno del Signore 1115 “L’apostolico (afferma) nel giorno nono delle calende di settembre offre la città di Troia e qui vi fu un Concilio nel quale si afferma: presso il sacro Convento di questa città, in presenza della quasi totalità dei personaggi importanti della Puglia, degli Arcivescovi e dei Vescovi che vi convennero. E dunque nel Convento con tutto l’ordine religioso, tra le altre cose che vi furono stabilite, come riportano i trattati scritti nella tregua dal nome di Dio, fino a dove si estendesse la Contea di Loritello e la Contea Giordana e le altre baronie della Puglia, e firmarono una tregua nel sacramento d Dio, e indi da chi fosse custodita e tenuta nello spazio di tre anni.” Si vuole la Contea ridotta di tanta ampiezza con Roberto di Bassavilla: dopo la morte di quello, non fu vi a nessun’altro come il Contado di Loritello, si legge, fu concessa la stessa ampiezza e la stessa importanza. X. Narrata in quella epoca la scoperta del Sacro Tumulo e devotamente curata la traslazione del Corpo di San Leone da Roberto, è descritta anche visivamente nella detta antica tavola che una volta era nella Chiesa di Santa Maria. Della stessa Santa Maria in Pensule ornava l’altare del Santo Confessore; ora è invece conservata nella Chiesa Collegiata di San Martino ed è visibile. Ma vi è però anche collocata nello stesso altare dove le reliquie stesse furono poste, con carattere netto di quel tempo un epitaffio è scritto: + QUI GIACE IL CORPO DEL BEATO LEONE CONFESSORE UNA SUA PREGHIERA AFFINCHE’ CI LIBERI DALLA COLPA Subito dopo fu stabilito che in quella Chiesa, specialmente nel sesto giorno, e con l’Officiare e con un’orazione propria ogni anno fu stabilito che ci fosse il culto; gli antichi codici di pergamena che ancora oggi sono poste in quella Chiesa e sono descritte nella di lui voluminosa Appendice, non induce a dubitare dell’importanza di quel culto. Peraltro molti furono gli altari nella Frentania e nelle terre sannite, e molte le cappelle in onore di San Leone Confessore. E molte cose sono dette del Monaco di Dio, sia nel culto sia nella comune venerazione che si accrescono. Anche nella città di Casacalenda, della Diocesi dI Larino, vi era una nobile e antica Chiesa, eretta con il nome dello stesso San Leone, con presenza di molti sacerdoti, i cui beni e i proventi annui furono accorpati nella mensa arcipretale della stessa cittadina. Dopo di ciò le sue vestigia durarono per molto tempo ancora, tanto che vive ancora nei nomi dei luoghi vicini all’antica Chiesa, tanto che si acclara anche dalla visita alla Città di Casacalenda nell’anno del Signore 564 sopra il millennio, da Bellisario Balduino, Vescovo Larinense oculatissimo. XI. Poco tempo dopo degli ultimi terremoti avvenuti e per la vecchiezza fatiscente del Tempio di Santa Maria in Pensule, ed anche per l’umidità della cadente Cripta, dove era custodito il corpo di San Leone, per tener meglio la sua cura e il suo decoro, fu deciso che fosse trasferito in altro luogo per l’ostensione. Si decise quindi alla presenza di D. Giovanni Andrea Tria, Vescovo di Larino, mentre correva un anno del secolo diciassettesimo, nel giorno 11 del mese di Novembre, che l’urna venisse prelevata insieme all’antica iscrizione che abbiamo citato poco prima. Il giorno seguente, dopo aver fatto un’offerta a Dio, scoperto il sepolcro, le ossa di San Leone, dalla vecchia e primaria pietra, in presenza di tutto il Clero e insieme al Magistrato e a tanti altri, con grande ardore profferente, furono collocate in una nuova e più consona urna lignea; e dopo che essa fu munita di sigilli, in un sacrario temporaneo fu piamente e sacramente collocata. Nel frattempo il religiosissimo Vescovo, in modo che si preparasse una degna e santa funzione, una lettera pastorale ad ognuno dei preti cristiani fu mandata, affinchè per le pie opere da fare e per il rito di Chiesa Cattolica fosse preparato. Subito dopo una solenne e pubblica Messa, in un luogo di riposo ornato in maniera più confacente, il corpo di San Leone fu accolto nel nove di maggio del successivo anno, con rito in pompa di gran lunga magnifica, alla presenza di Alfonso Mariconda Triventino e di Pietro Abondio Battiloro di Gualdialfiera, e del già ricordato Giovanni Andrea Tria, Vescovo di Larino, nella Chiesa di San Pietro che ora era la nuova Chiesa Madre della città di San Martino; e con la presenza di numeroso clero fu traslato. Su quell’evento fu scritto dal Magistrato Italico un libello che descrive tutte le azioni e tutti gli atti della celebrazione. XII. In questa Chiesa sotto un Altare Maggiore, con solenne rito a Dio fu portato e fu approntato un più nobile tumulo, e le stesse reliquie furono collocate, in religiosa gran pompa, in una nuova urna, fatta di elegante ebano che a sua volta fu chiusa in una bara di cristallo e legno. Nella sua parte anteriore fu resa visibile affinchè si potessero vedere le fattezze di San Leone, e dopo fu sigillata e munita di cancelli con ferri e ori. Dopo fu anche posta un’iscrizione per far sì che chi leggesse potesse avere memoria di quei fatti, così da ricordarli ai posteri. D.O.M. QUESTO ALTARE UN GIORNO FU POSTO DAL PRINCIPE DEGLI APOSTOLI GIOVANNI ANDREA TRIA VESCOVO LARINENSE CON RITO SOLENNE E CON GRANDE CERIMONA CONACRO’ NEL SETTIMO GIORNO DI MAGGIO 1728 NIENTE INVERO DELLA SOMMA RELIGIONE NON FU FATTA TRASLATO ALLA NONA DELLO STESSO, IN SOLENNE POMPA DALLA VECCHIA SANTA MARIA IN PENSULI AD UN LUOGO PIU’ SACRO E CONSONO A SAN LEONE CONFESSORE PRINCIPALE PATRONIO DI QUESTA CITTA E PER QUESTO VENNE Più IN CULTO E CURATO. XIII. Lo splendore e la decorazione della sacra Chiesa non è arricchito da alcun’altra scritta. Il sacro catino del Presbiterio fu magistralmente ornato di colore viola, universalmente attribuito al Mozzetta e così si poterono quelle cose che riguardano le regole umane, i privilegi e gli onori chiedere a quelle reliquie, sia per diritto che per consuetudine. Di queste cose si parla nella lettera del primo giorno di maggio, nell’anno 1730 del parto della Madonna. E nel secondo giorno di maggio, essendo anche il segnato natale del Santo, l’anno successivo tante cose furono fatte per onorarlo e le feste si moltiplicano. E con la stessa magnificenza e religiosità vengono rinnovate dai cittadini ogni anno, con nessuna cosa che l’assomigli o sia simile; in quei posti di altri Santi Protettori si vedono cose inferiori. Infatti per la grandezza e per la grazia della celebrazione viene fatta una festa: viene effettuata una corsa di carri trainati da buoi nello spazioso tratturo. Al Vincente conduttore del carro, un pubblico premio emessa dal magnifico Magistrato viene dato. Traduzione di Giuseppe Zio |